La divulgazione dell’ignoranza: Umberto Broccoli

 

Zapping, 2 Gennaio 2006, ore 20,15 circa: il Direttore de Il Resto del Carlino, Giancarlo Mazzuca, si esibisce in alcuni dei suoi accuratissimi interventi… ”-Ecco, mi sembra che gli ultimi avvenimenti di Putin, come si sta muovendo con i Paesi vicini, con i Paesi ex satelliti, ecco, dimostra che Putin sta avviando su una pericolosa strada, come anche le ultime trasmissioni Zapping con l’ascolto di alcuni dissidenti dimostra… -Cosa è successo? Le autostrade all’inizio di dicembre c’è stata, come ti ricorderai, una lungo black out… -Continuiamo a frenare sulle nuovi sviluppi e…”.

Sono stralci, non certo isolati, dell’Italiano che gli esponenti della Cultura nostrana offrono ogni giorno dai microfoni di radio e televisione, facendosi irresponsabilmente complici di quella che io chiamo ”divulgazione dell’ignoranza”. Quando accenno al problema in conversazioni private o pubbliche, la giustificazione che viene addotta dagli interlocutori è francamente assai debole, permissiva, connivente: “Quando si parla è facile che scappi qualche errore”. Qui non si tratta di “qualche errore”, ma di insufficiente controllo dell’eloquio, se non addirittura di carente preparazione di base. Per di più la mia critica non si rivolge soltanto alle pur gravi sconnessioni della formulazione parlata del pensiero, ma ancor più ai contenuti stessi della comunicazione, che tradiscono frequentemente incredibili lacune di competenza, talvolta assenza di rudimenti.
A titolo esemplificativo, pubblico una lettera che avrei voluto spedire a un certo Conduttore che da anni “infesta” quotidianamente gli spazi del palinsesto radiofonico, e che si fregia di titoli altisonanti, come le biografie consultabili sulla Rete dimostrano. Giudichi chi sa e chi può.

Il minestrone di… Broccoli

Caro Broccoli, che da anni invadi i microfoni della Radio con la tua voce “suadente”, ma forse un po’ saccente (senza averne donde), soprattutto con il tuo programma che hai voluto intitolare “Con parole mie”, ma che più umilmente e coerentemente avresti dovuto denominare “Con parole d’altri”, visto che non fai che produrre citazioni, non raramente frettolose e mal ricordate, e di tuo non metti granché, se non magari la deformazione del riferito, io credo che dovresti prestare più attenzione alla tua preparazione, evitando le improvvisazioni o, almeno, l’ostentazione di un “latinorum” con cui puoi far colpo solo sulle persone (milioni, purtroppo) che il Latino non conoscono o non ricordano, contribuendo, con parecchi altri colleghi, a diffondere ignoranza più che conoscenza, visto che gli errori che commetti e che divulghi non sono infrequenti né di poco conto!

Un esempio per tutti: la trasmissione del 5 Novembre 2009.

Tu citi Isidoro di Siviglia: LIQUOR PISCIUM SALSUM, dimenticandoti che liquor è maschile (non neutro) e che la citazione corretta avrebbe dovuto essere LIQUOR PISCIUM SALSUS, con la concordanza dell’aggettivo al nominativo singolare maschile, appunto. liquor piscium salsUM

Plinio il Vecchio nel libro XXXI della sua Naturalis Historia afferma: Aliud etiamnum liquoris exquisiti genus, quod garon vocavere, intestinis piscium caeterisque quae abicienda essent, sale maceratis, ut sit illa putrescentium sanies. Hoc olim conficiebatur ex pisce, quem Graeci Garon vocabant: capite eius usto, suffitu extrahi secundas monstrantes. “Un altro tipo di liquido pregiato, che chiamarono garon, è fatto con intestini di pesci e altre parti che di norma si dovrebbero buttare via, macerati nel sale, sicché quello diventi la feccia di cose in putrefazione. Questo garum era una volta ottenuto da un pesce, che i Greci chiamavano γàρος, notando che bruciandone la testa con un suffumigio, si estraeva la placenta…”

Conferma quanto dice Plinio Isidoro di Siviglia, nella sua opera in venti libri di carattere enciclopedico, le Etymologiae (XX, 19): Garum est liquor piscium salsus, qui olim conficiebatur ex pisce quem Graeci GARON vocabant; et quamvis nunc ex infinito genere piscium fiat, nomen tamen pristinum retinet a quo initium sumpsit. Liquamen dictum eo quod soluti in salsamento pisciculi eundem humorem liquant. “Il garum è un liquido salato di pesce, che un tempo era fatto con un pesce che i Greci chiamavano garon, e per quanto ora venga prodotto con molti altri tipi di pesce, tuttavia conserva l’antico nome dal quale prese inizio. Il succo è chiamato così perché dei pesciolini, sciolti nella salamoia, colano il proprio umore”.

Più avanti citi l’epitaffio che una mano ignota ha inciso sulla tomba di un certo Tito Claudio Secondo, un liberto dell’imperatore Claudio:

BÀL NE a  vinà Venùs corrùmpunt còrpora nòstra,
(anziché bàlnea vìna Venùs corrùmpunt còrpora nòstra)

ÀT vìta faciùnt bàlnea vinà Venùs,
(anziché àt vitàm faciùnt bàlnea vìna Venus; inoltre probabilmente è sed, non at):

“Bagni, vino e amore (sesso) corrompono i nostri corpi, ma bagni vino e amore ‘fanno’ la nostra vita (sono cioè la nostra vita)”. balnea vina venus

A parte il fatto che il secondo verso muta completamente il senso del pensiero espresso nel primo e rende la citazione inadeguata per avallare il parere negativo di Seneca sull’eccessiva cura del corpo, manca l’accusativo vitam (che sotituisci con vita), la scansione metrica è completamente sballata e non si capisce bene la pronuncia di “balnea”, nonostante la pausa prolungata nella recitazione: sembra di sentire “balne”. Se si tratta di frettolosa pronuncia, l’imperfezione risulta ugualmente non trascurabile, soprattutto per chi il Latino non lo conosce e lo deve “imparare” da te (a proposito: se la tua trasmissione si rivolge al grosso pubblico, perché tante citazioni in Latino, che non possono essere còlte, visto che spesso nemmeno le traduci? E se parli ai dotti, perché non ti prepari meglio?).

Tenti poi di fare sfoggio di “lettura restituta”, ma produci un ibrido tra questa e quella ecclesiastica, come in quaesivi et non inveni, quando leggi “quaesivi”, scandendo il dittongo, ma ti dimentichi di pronunciare “quaesiui” e “inueni”, con la u al posto della v; come trascuri di pronunciare “pischium”, anziché “piscium”, come pronunci “fachiùnt”, ma poi dici “vinà” invece di “uinà”, “Venùs” invece di “Uenùs”, “vita” invece di “uita” nell’epitaffio Balnea, vina, Venus… Caso in cui anche la metrica difetta parecchio! Che piede sarebbe bàl-ne-a-vi? Dato che poni l’accento su “na” di vina, sillaba lunga che avvierebbe il secondo piede, rimarrebbero scoperte quattro sillabe che mai potrebbero essere riferite a un dattilo, a uno spondeo oppure a un trocheo (l’esapodia dattilica catalettica non prevede uso di altre unità ritmiche). Nel secondo verso (il pentametro del distico elegiaco), di nuovo la scansione appare errata “àt / vì-ta-fa / ciùnt // bàl-ne-a / vi-nà / ve-nùs”: uno sconcio! Il primo piede, di una sillaba (dove è previsto un dattilo oppure uno spondeo) altera tutto il seguito, portando ad un quinto piede formato da una parola, cosa non ammessa di regola, come non è ammessa nel secondo piede la sostituzione dello spondeo al dattilo (mentre addirittura pare spuntare un giambo in vi-nà!). A noi sembra corretto leggere:

bàl-ne-a / vì-na-ve / nùs-cor // rùm-punt /còr-po-ra / nò-stra
sèd-vi/ tàm-fa-ci / ùnt // bàl-ne-a / vì-na-Ve / nùs

Come lo schema canonico prevede.

Senza contare lo sproposito per cui la frase avrebbe un complemento oggetto in ablativo (vità) dal momento che non potrebbe essere certo accentata la sillaba breve conclusiva di un nominativo. Vitam è  l’accusativo, caro Broccoli, come sa qualunque alunno alle prese con la prima declinazione: “ma bagni, vino, amore, ‘fanno’ la nostra vita”, e “vita” è complemento oggetto, nella più elementare analisi logica! Citazione disastro, quindi (ascolta di nuovo: balnea vina venus).                                           

Perfino quando riporti il Manzoni le gaffe non mancano: sei capace di trasformare “Pedro, adelante con juicio” in “Adelante, PEDRUM, con juicio”… non c’è che dire: magari la prossima volta parlerai di Renzum e Lucia. adelante PedrUM

Quando poi ostenti conoscenze di retorica dovresti ricordarti della responsabilità che hai nel divulgare errori gravi come fossero sapiente conoscenza: “vedere per radio il profumo” non è un ossimoro, caro chiacchierone, ma una sinestesia, perché l’espressione non pone in contrasto due termini antitetici (la vista non è l’opposto dell’olfatto), ma come il “silenzio verde” o “l’aspro odore” del Carducci è, per così dire, una contaminazione dei sensi, è un percepire insieme, la figura retorica di contenuto che consiste nel trasferire un tipo di sensazione ad un altro appartenente a una diversa sfera sensoriale. Ossimori sono la “dolcezza amara” del Giusti, il “piccoletto grande Presepe” di Pascoli, l’“uccidere i morti” di Ungaretti. Scendi qualche gradino… eviterai questi strafalcioni! l’ossimoro

Anche la cura dell’eloquio lascia “alquanto a desiderare”… Un passo per tutti: “Il mondo antico… noi siamo nei confronti del mondo antico come dei bambini di cinque anni, sei anni, sette anni, che non tutti noi abbiamo la preparazione, anche gli specialisti hanno preparazione per un museo”… Ma come parli? esempio di cattivo elequio

             Per fortuna apprendiamo, nel sito personale (http://www.umbertobroccoli.it/), che Umberto Broccoli “Si laurea in Archeologia Cristiana nel 1976 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove insegna per tre anni Epigrafia Cristiana Antica Greca e Latina. È stato direttore del Castello di Giulio II di Ostia e membro del Consiglio Nazionale per i Beni Culturali. Come archeologo medievista, ha successivamente lavorato per la Soprintendenza Archeologica di Roma. Ha pubblicato numerosi saggi e libri con Laterza, Curcio, Le Monnier, Rai Eri, ed ha collaborato con settimanali e quotidiani (La Repubblica, Avvenimenti, Ultime Notizie, TV Sorrisi e Canzoni, Reset, Archeo)”…

Eccellenze d’Italia…

Amato Maria Bernabei

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