Quando sembra che più nulla possa essere creato, che il prato abbia fatto sbocciare tutti i fiori possibili, ecco che un fiore mai visto schiude la corolla…
Così è potuta nascere una nuova forma metrica, cui è stato dato il nome di “sonetto in terza rima”.
Sonetto perché componimento di quattordici versi endecasillabi, come il più classico “parente”; “in terza rima” per il fatto che, invece di articolarsi in due quartine e due terzine variamente rimate, consta di quattro terzine dantesche e di un distico finale che trae la rima dal verso medio dell’ultima terzina.
Lo schema è il seguente:
ABA, BCB, CDC, DED, EE.
L’esito “musicale” è sicuramente molto diverso da quello che caratterizza il sonetto classico, nella cadenza, nella melodia, nel timbro.
Si riportano di seguito tre esempi.
Il fiore nuovo
Quando del prato hai visto tutti i fiori
e mai diresti un altro che fiorisca,
perché non sai più veste né colori,
là dove il giorno è tempo che finisca
ed affresca al tramonto la sua scena
finché dal lato opposto inaridisca,
come da roccia nuova e chiara vena
gorgoglia e sboccia, e il raggio la dipinge,
che già non solo d’apparenza è piena,
una corolla, che la vita stringe
e che dispensa in suoni di parole,
ripercorrendo il vero mentre finge
- come sorride oppure come duole -,
ruotando, mentre può, da sole a sole.
Nostalgia
Come da un’ora prossima e distante
che dal petto alla mente si rinnova,
ferisce e si dilata dall’istante
il tempo che trascorso si ritrova,
dolore del ritorno, che si strugge
per ogni forma sempre in forma nuova,
che ridiscende al giorno come fugge
e ne cerca ogni vista ed ogni olfatto,
il suono, ed ogni senso che distrugge.
E il senso di un trascorrere distratto
che solo quando sa che poco resta
reclama quel che visse ancora intatto.
Ma come fosse muta è la richiesta.
E il giorno se ne va, che poi si arresta.
Tempo
Che cosa se ne va, dove il quadrante
pulsa per artificio delle sfere
o per cifre dal battito incalzante
sul corso dei risvegli e delle sere?
Che cosa se ne va, nel movimento,
quando pare frantumi per sapere
l’infinito fuggire dell’evento?
Che inganno misurò chi sottomise
l’eterno indivisibile al momento?
Fu solo l’impressione che divise,
dal passo che consuma, l’incorrotto
sentiero che non cede e non sorrise.
Così alla luce, credulo, è sedotto,
né trova, l’occhio, il seme che l’ha indotto.
Amato Maria Bernabei
_ – _ – _ – _ – _ – _ – _
*
To prove that you're not a bot, enter this code