So per certo che taluni docenti, forse abdicando al proprio ruolo, per mancanza di autostima o di preparazione adeguata, o nella falsa convinzione di suscitare un più alto interesse per lo studio della Commedia, propongono ai loro studenti le “spiegazioni” dantesche di Benigni.
La spettacolarizzazione di tutto ha già deformato l’approccio alla sostanza di tanti ambiti, favorendo un contatto fuorviato e superficiale con le cose: non era e non è proprio necessario snaturare anche la poesia, la Letteratura, il mondo dell’arte.
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Potenza, Fiera dell’Autore.
Un sedicenne liceale si ferma incuriosito presso il banco dove espongo il saggio “O Dante o Benigni”, mentre io spiego ad una sua compagna il contenuto e le ragioni del libro.
Interviene.
Si nota subito che è un convinto fan del “dantista” toscano. E si capisce che si identifica nella sua convinzione, tanto che niente e nessuno gli farà cambiare idea. Benigni è grande, e anche se non dovesse conoscere la Commedia come un critico professionista, le sue “interpretazioni” sono tuttavia capaci di dare emozione, sostiene. Cerco di fargli capire che chi non conosce non può interpretare e che Benigni infila collane di corbellerie; gli dico che è un imbroglio farsi passare per esperti e giocare con la fiducia altrui, che è sleale insegnare spropositi a chi non sa, incassando per giunta somme indecenti di denaro.
Insiste. Dice di saper bene che Benigni non è Contini, sicché per la “critica tecnica” bisogna fare uso dei testi degli specialisti; da Benigni il pubblico cerca le emozioni che solo lui sa dare. E poi è convinto che l’attore ha conoscenze sufficienti per potersi permettere un pensiero critico sulla Commedia.
Gli parlo dei linguaggi analogici, della loro predominanza nella comunicazione; gli dimostro che è possibile emozionare recitando numeri. Aggiungo che i titoli onorifici conferiti al comico, addirittura la candidatura al Nobel, non avallano le emozioni che il saltimbanco suscita, ma la sua presunta cultura e la sua divulgazione dantesca, che io dimostro essere di pessima qualità!
È come parlare al muro.
Anzi! Il ragazzo mi fa sapere che si sta organizzando con i suoi amici per andare a sentire Benigni a Firenze (610 Km. sul percorso più breve, più di 1200 fra andata e ritorno, spese per il viaggio, il soggiorno eventuale, i biglietti per lo spettacolo…).
“È una follia!” gli dico, “Sei stato plagiato”.
“Assolutamente no” ribatte.
“Ognuno sceglie gli insegnanti che si merita” concludo.
Il ragazzo si scalda e prende a snocciolare stereotipi intransigenti, quasi formule da sessantottino: la libera interpretazione dell’opera d’arte, l’arroganza del potere, la prevaricazione della tradizione dotta e sclerotizzata, e simili. Un bel frutto didattico della cattedra del comico…
Poi “ringrazia” e si allontana.
Un esempio lampante dei danni prodotti dal Tutto Dante e dal cancan mediatico che ne ha esaltato le qualità “culturali”. I fan di Benigni non capiscono ragioni: la mitizzazione del comico è uno dei fenomeni più paradossali e deleteri della “civiltà” del mercato. Non riesco nemmeno lontanamente a condividere gli aspetti positivi che i fautori delle “comiche esegesi” adducono per sostenere la “benemerita” operazione dell’attore.
Io vedo solo uno spaventoso business, un business e basta, con danno culturale, materiale e morale per i seguaci ammiratori, più o meno condizionati, più o meno abbagliati, più o meno sprovveduti, che tutti inneggiano all’insuperabile cultura di Roberto Benigni.
Del quale poco ci importerebbe se non fosse diventato l’emblema della perversione del commercio, che permette una falsa valutazione del valore delle cose, in funzione della capacità che esse hanno di produrre o no denaro, e l’aberrazione che fa sedere in cattedra l’ignoranza.
Amato Maria Bernabei
O Dante o Benigni
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