“…e vede queste due che abbracciati, abbracciati vola
e lui gli interessa queste due anime”
(Roberto Benigni)
Quando troppi sono d’accordo su qualcosa, tu comincia a dubitare
O Dante o Benigni è un saggio di accesa polemica nei confronti dei trionfi “letterari” di Roberto Benigni. Benché fitto di accuse e di aspri sarcasmi, esso per nessun motivo si rivolge alla persona, ma intende piuttosto colpire con severità, attraverso critiche ed asserzioni sempre documentate, un emblema forte di una cultura offesa e impoverita da perverse logiche di mercato, tese a creare miti inconsistenti e deleteri, strumenti occulti di una “divulgazione d’ignoranza” premiata e consacrata.
Attraverso il Saggio l’autore si fa interprete di un pensiero lontano, che dopo oltre settecento anni conserva una sbalorditiva attualità. In una lettera a Giovanni Boccaccio, del 1359, Francesco Petrarca spiega infatti di avere abbandonato la poesia in volgare per non essere “maltrattato”, come è accaduto all’Alighieri, dal popolo ignorante ed ottuso:
“…questi sciocchi lodatori i quali non sanno mai perché lodano né perché biasimano, e infliggendogli (si riferisce a Dante) la più grave ingiuria che si possa recare ai poeti sciupano e guastano, recitandoli, i suoi versi, del che io, se non fossi così occupato, farei clamorosa vendetta. Non posso invece se non lamentarmi e disgustarmi che il volto della sua poesia venga imbrattato e sputacchiato dalle loro bocche”.
A Benigni si rinfacciano dunque l’insolenza di un’esegesi priva dell’indispensabile corredo di conoscenze e l’uso indebito di uno dei massimi capolavori del genio umano; la pretestuosità di una divulgazione “culturale” che diventa inevitabilmente propagazione di somaraggine per la banale, improbabile, sconclusionata interpretazione della Commedia, per le profananti “prediche” religiose che perfino quelli che dovrebbero essere garanti del pensiero cristiano accolgono come lezioni di Teologia, per i distorti ammaestramenti di vita spacciati per insegnamenti evangelici, per le irriguardose “letture” del Testo Sacro che paiono scavalcare le consolidate ermeneutiche degli imprimatur.
Alla “critica” predominante e al cassone di risonanza mediatica si addossa la responsabilità degli avalli ignobili, reiterati, che magnificano le precarie conoscenze, addirittura le incompetenze, e tutti i prodotti ad esse legati, per operazioni commerciali, prima che culturali, con danno irreparabile per il sapere. Nella fattispecie si tenta di combattere un ingenerato abbaglio, che giustifica l’ingiustificabile alla luce di argomentazioni di precaria fondatezza, per cui Benigni sarebbe un benefattore dell’umanità per aver avvicinato tutti a Dante, per averne recuperato il valore, l’ammirazione e il desiderio, mistificando così i risultati della diffusione di un devastante travisamento della Commedia e del suo autore, per cui le immortali terzine sarebbero testo “popolare”, pane per tutti i denti, cibo per ogni mensa, magari per truogoli, e tutto direbbero di tutto, fuorché ciò che realmente dicono.
E passi che l’emorroissa e Cristo siano accostati a Paolo e Francesca e che un episodio di fede diventi spettacolare “parabola” d’Amore! Passi che le colpe punite diventino espressioni di martirio e di santità, che i due cognati amanti siano smerciati come modelli di sublimi sentimenti, laddove Dante, commosso di accorata comprensione per l’umana debolezza, ne fa semplicemente esempio di lussurioso cedimento adulterino, da cui il lettore tragga motivo di ravvedimento e di salvezza; passi che San Tommaso e Sant’Agostino, o lo stesso Dante, dicano e scrivano quello che non hanno mai scritto né detto. Passino infine le irripetibili oscenità e la satira politica di parte spacciate per commenti all’opera dantesca, passino la lingua da illetterato e l’eloquio convulso e farfugliato, e tutto venga invece vergognosamente remunerato, dalle casse del profitto senza scrupoli e senza pudore, e celebrato come grande cultura.
Di questo si occupa il trattato, che si compone di un canto “dantesco” introduttivo (“XXXV” dell’Inferno, dove il comico è punito come “traditore della cultura” con un fiero contrappasso); della trascrizione completa e puntuale, senza correzioni o edulcorazioni, della performance televisiva del 29 Novembre 2007, corredata di numerose annotazioni che evidenziano l’imperizia e la trivialità del superpagato “critico” (fino a 260 Euro al secondo!), compresa l’intera “esegesi Benignesca” del V Canto dell’Inferno, ricca di postille impietose (un CD con esaurienti e dettagliati documenti audio – che l’editore distribuisce come omaggio promozionale a chi acquista il volume -, accompagna lo scritto, già ricco di rinvii alla Rete); di una breve sezione, dedicata alla “teologia” di Benigni, relativa al XXXIII Canto del Paradiso; dell’ampia documentazione, raccolta in Rete, del fanatismo mitizzante, seguita da un elenco di “voci controcorrente” (a partire da quella di Zeffirelli); di una nuova, sorprendente, interpretazione del verso “amor ch’a nullo amato amar perdona”, che confuta quella tradizionale che da più di sette secoli sembra offendere l’intelligenza dell’Alighieri; dell’analisi della scadente capacità versificatoria di Benigni; di una satira conclusiva, in ottave (192 endecasillabi), in cui mordacemente si condannano l’operazione di mercato del novello Alighieri e la complicità di quanti lo assecondano, soprattutto della RAI, che nel 2007 ha sperperato 7.500.000 Euro per il ritorno in TV della Grande Cultura (2.500.000 Euro per la sola prima puntata di Tutto Dante).
Il Saggio, tardivo rispetto all’avvenimento trattato – per le ovvie difficoltà incontrate ad essere pubblicato, non certo in relazione alle tematiche affrontate -, è comunque arricchito, in appendice, da una polemica recensione della recente, acclamata “interpretazione critica” dell’Inno di Mameli.
Amato Maria Bernabei
acquista dall’Editore Arduino Sacco (06.4510237)
Introduzione al Saggio Roma: Intervista all’autore del saggio
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