.
LE RAGIONI DI UN LIBRO
“L’Arte mai dovrà essere popolare:
è il popolo che deve diventare artistico”
(Oscar Wilde)
Non è l’arte che deve essere adattata al popolo,
ma il popolo che deve “adattarsi” all’arte;
e l’arte popolare è quella realizzata dal popolo, non la grande arte deformata per il popolo
* * * * *
Il “Tutto Dante” di Roberto Benigni rappresenta il culmine di un fenomeno sempre più diffuso e malsano, perché nocivo e perché disonesto: quello dell’intrusione nei ruoli altrui legato alla visibilità mediatica. Fenomeno per il quale chiunque, per qualunque ragione, si imponga all’attenzione del grosso pubblico, si sente di e viene autorizzato a vestire panni che non gli appartengono, con danni più o meno gravi per gli ambiti in cui si verifica l’intromissione.
Per semplificare: la notorietà acquisita da un calciatore, da un attore, da un cantante, diventa motivo valido e plausibile perché d’incanto questi protagonisti del baraccone mediatico diventino… scrittori. Non sono certo rare le presenze in libreria di pubblicazioni senza alcun valore firmate dal Cassano di turno che “scrive a quattro mani” con il giornalista Pierluigi Pardo, il “prestapenna” di occasione, nientemeno che il volume Dico tutto! L’illustre scrittore Vasco Rossi, del resto, di libri ne ha firmati una decina…
Il caso del Tutto Dante è però il vero e proprio emblema delle mostruose metamorfosi prodotte dai mass media e dalla filosofia del mercato: in un magico effetto morphing - quello, per intenderci, che sullo schermo permette ad un’immagine di trasformarsi in un’altra in modo del tutto credibile e naturale -, Benigni viene tramutato in un pozzo di sapere, nel più autorevole dantista, in un grande poeta, l’ignoranza diventa conoscenza, cultura, reclamizzata, osannata, premiata oltre ogni conveniente misura, con inevitabile consacrazione di attendibilità. Al comico toscano, che frettolosamente prepara le sue “lezioni” costellate di gravi lacune e che nemmeno è in grado di usare una lingua alfabetizzata, vengono vergognosamente conferite otto lauree honoris causa, in discipline perfino non attinenti al ruolo indebitamente concessogli e inadeguatamente e goffamente sostenuto, sicché Benigni diviene letterato, filologo, psicologo, filosofo. Addirittura nel 2007 qualcuno lo candida al Premio Nobel per la Letteratura! Assurdo, insensato, aberrante.
Senza contare le spropositate somme pagate per ascoltare il vate.
Perfino il danno, se non addirittura l’oltraggio, arrecato alla cultura viene metamorfosato e venduto, sì, venduto, come meritoria divulgazione.
Nessuna voce che si contrapponga in modo veramente convinto e concreto, nessuno che senta il dovere di ammonire, di avvertire dell’inganno.
L’autore del Saggio “O Dante o Benigni”, Amato Maria Bernabei, per indole soprattutto poeta, dedito quindi a ben altro genere di scrittura, ha sentito il dovere di denunciare e dimostrare la mistificazione, ritenendo colpevole il silenzio, irreversibile un processo di degradazione senza argini; ha stimato opportuno dare l’allarme e sforzarsi di rammendare il tessuto logorato, nell’attesa di tessere trame nuove, che segnino il riscatto dei valori umiliati.
“O Dante o Benigni” non è dunque invettiva contro un saltimbanco, opera di fazione avversa ad una bandiera, maldicenza salottiera, ma impegno sdegnato e sincero per restituire la corretta dimensione a un capolavoro strumentalizzato e deformato, verità ad un pensiero falsato, tratti genuini alla cultura insultata; per imprimere modalità inverse e veramente proficue all’insegnamento e alla divulgazione, sensibilizzare all’esercizio del senso critico, spronare la rivalsa.
“O Dante o Benigni” è un saggio di documentata dimostrazione del vacuo, di invito ad una presa di coscienza dei pericoli insiti nella superficialità e nello stile mercantile della nostra società, di incitamento ad una ribellione pacifica, ma decisa, che apra alla costruzione di un futuro più educato e più sano.
*
To prove that you're not a bot, enter this code