MYTHOS – MARSILIO EDITORI, VENEZIA
PRESENTAZIONE
Mythos, in terzine dantesche, conta quasi diecimila versi, e mira, di fronte al dilagare della falsa poesia, della superficialità, del cattivo gusto, a proporre il recupero di una tradizione in pericolo, quella in cui la poesia era ancora un genere nitido e distinto dalla prosa, ed i poeti erano almeno detentori di una tecnica e di una sapienza. Mythos vuole dimostrare come nel XXI Secolo possa essere vivo uno strumento, quello metrico, che troppi considerano con disinvoltura superato e che conserva invece integra la sua forza espressiva e creativa, soprattutto nella revisione cui l’abbiamo sottoposto, attraverso restrizioni tendenti a potenziare la musicalità e la forza del verso.
Nella stesura del poema ci si è infatti assoggettati a limitazioni che non sono i presupposti per una masochistica sofferenza estetica, ma le misure ritenute adatte a creare un verso di sonorità pura, una terzina scorrevole e musicale, libera dagli orpelli delle “deformazioni” che hanno denominazioni codificate, ma forse giustificazioni mai convincenti. La “licenza”, quando è frutto di creatività e si sottrae all’abuso, è un mezzo congeniale e potente della poesia; ma perché fare sistematicamente ricorso a troncamenti, ad epèntesi, a sincopi e ad altri espedienti del genere, che affollano parole nel verso ed appesantiscono il flusso musicale?
Sempre per ragioni di purezza sono stati scartati gli endecasillabi che non rispondessero agli accenti canonici più severi (6-10, 4-8-10, 4-7-10), escludendo ogni altra zoppicante combinazione ed accettando solo accenti deboli variamente dislocati, poco significativi in relazione ai fini prefissati; come sono stati accantonati gli endecasillabi tronchi e sdruccioli ad esclusivo favore di quelli piani, più naturali e tersi nella sonorità.
Quando è stato possibile – spesso, per la verità -, si è preferita la costruzione diretta a quella inversa.
Si è poi scelto un linguaggio che solo apparentemente suona “superato”, che non fa ricorso al vocabolo astruso per il gusto dell’esibizione, che può accettare il termine letterario, che sceglie l’antiquato solo per effetti particolari, come si macchia uno specchio per dargli apparenza di antichità, nei casi in cui si manifesti l’esigenza dell’antico, in un soggetto di per sé già tale, o per conseguire risultati particolari, dare sfumature ironiche o sarcastiche, se non addirittura comiche.
La lettura attenta di Mythos mette del resto in evidenza che la complessità del testo non sta nel preziosismo lessicale, quanto nelle circostanze mitiche e storiche e nello svolgi-mento di un pensiero che tenta di scavare in profondità, e soprattutto, crediamo, nelle associazioni inattese e nelle sintesi: pochi versi possono racchiudere, per allusioni, una fitta trama narrativa o logica.
Partendo infine dall’esigenza di ovviare alle cadute di tono legate all’uso dei verbi dire, rispondere, ribattere, dichiarare, e simili, che in tutti i grandi poemi sono disseminati un po’ noiosamente per introdurre i discorsi diretti, si è pervenuti, attraverso la contamina-zione dei generi epico e drammatico, al genere nuovo del “poema epico-drammatico”, o dialogico, se si preferisce, in cui i protagonisti entrano direttamente sulla scena e parlano. Una voce narrante, il Menestrello, tesse il discorso, rivolgendosi a due voci che interloquiscono, Orióne e Meròpe; tutti i personaggi del mito sono introdotti come in una rappresentazione teatrale, tanto che ai loro interventi mancano soltanto le classiche didascalie del testo drammatico.
Amato Maria Bernabei
Prefazione a Mythos Mythos perché… Hanno detto di Mythos
Intervista all’autore di Mythos Video Presentazione Padova
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