M A R I O M A G G I
P a d r e T r i n i t a r i o
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Parenti, amici, confidenti:
abbiamo condiviso molto,
soprattutto nel periodo estivo,
scoprendo affinità di sensibilità
e di sentimenti, ma soprattutto il comune, insopprimibile attaccamento all’aria
ed ai luoghi del nostro piccolo
- gigantesco nel cuore -, paese natale.
Perciò “canterò” fin che potrò il tuo ADDIO,
stringendo affettuosamente dentro di me
il tuo ricordo.
ADDIO
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Parlare di Padre Mario è come voler dare una forma all’acqua. Non si può costringere un’indole variegata, capace di adattarsi a qualunque interlocutore in forza dell’ideale che la pervade, in un ristretto profilo in cui nessuno la riconoscerebbe. E tuttavia, come l’acqua è sempre acqua in qualunque involucro, Padre Mario è sempre fedele a se stesso, e in questa sua ferma identità è rappresentabile. Nemmeno si deve cedere all’impulso di una descrizione mitica, addirittura agiografica, delle sue qualità: Padre Mario è prima di tutto un uomo – chi ben lo conosce non ignora le sue fragilità -; ma sono proprio queste che, per loro stessa natura, danno risalto in chiaroscuro all’eleva-tezza delle virtù. La più grande delle quali, io credo, è di aver liberamente e devotamente percorso il sentiero che gli era stato riservato.
Gli antichi Greci credevano nell’esistenza delle Moire, tre divinità preposte al destino degli uomini: Cloto (io filo), che svolgeva dalla rocca il filo della vita, Làchesi (destino), che girata di spalle, alla cieca, dispensava le vicende, Àtropo (inevitabile) che decretava la morte recidendo il filo. A nessun Cristiano verrebbe in mente di immaginare il proprio Dio che, girato di spalle, traccia come viene il percorso della vita. Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro, si legge nel Vangelo di Matteo (10: 29-31): il disegno provvidenziale è dunque concepito come un cammino predisposto, ma alla luce della definizione di Giovanni Damasceno, secondo cui la divina provvidenza, la πρόνοια, “consiste nella cura esercitata da Dio nei confronti di ciò che esiste [...] è quella volontà divina grazie alla quale ogni cosa è retta da un giusto ordinamento” (Esposizione della fede ortodossa, 2,29).
Il merito più grande di Padre Mario è quello di essere stato docile a questo ordinamento, di averlo assecondato, fin dai primi momenti consapevoli della sua vita. Già il suo carattere rivelò precocemente un desiderio di superamento degli angusti confini natii: il piccolo Mario non trascorreva tutto il tempo in casa, intento agli studi, come il fratello Giovanni; ma dopo aver aiutato i genitori, sarti validissimi della Valle Subequana, amava sortite curiose, che lo portavano anche a scorrazzare per i dirupi quando andava nei campi. Gli piaceva arrampicarsi sugli alberi, scalare le rocce: in montagna era così improvviso nelle sue sparizioni e nelle ricomparse, che lo chiamavano “sbuciafratte”. Amava i cieli azzurri, i cieli stellati, i voli degli uccelli, e costruire aquiloni, quasi metaforici aneliti. Ricorda sempre che l’ultimo aveva il filo così lungo da sottrarsi alla vista, un filo che finì per spezzarsi… e qualcuno ritrovò l’aquilone a Castelvecchio. Forse, allora, Mario imparò che pure dei sogni bisogna conservare il dominio. Amava i silenzi della neve e il canto dei grilli, gli orizzonti lontanissimi… semi che Dio lasciava cadere nell’anima, perché germo-gliassero. Intanto assorbiva quanto di buono gli sapevano offrire la famiglia, i parenti stretti, gli amici. Imparava a recitare dal papà la preghiera all’Angelo custode, il Padre Nostro, l’Ave Maria, mentre godeva di continui esempi formativi: l’operosità dei suoi genitori, le sane inclinazioni del fratello e della sorella, le integre doti della famiglia Bernabei, pur saltuariamente presente a Secinaro; e subiva, insieme, il fascino delle menti ragguardevoli, come quelle di Ottaviano Giannangeli e di Felice Santarelli, per le quali nutriva profonda ammirazione. Frequentava la Messa con la mansione di chierichetto, poco attirato però dal celebrante, di cui non avrebbe conservato un bel ricordo e che, almeno in apparenza, non poté esercitare grande influenza sulla sua scelta futura. Da collegiale, a Palestrina, mostra un’intensa vita di preghiera, di studio, di lavoro, e si accosta alla musica, che diventa il passatempo privilegiato. Negli studi primeggia, anche se non rivela particolare predisposizione per l’Italiano.
A quattordici anni sboccia la vocazione, favorita e sorretta soprattutto da un amore particolare per la Madre di Dio. La famiglia lo sostiene con tutte le risorse disponibili, accettando la scelta; ma, con il Noviziato, Mario rompe i legami con tutti, facendo proprie le parole del Vangelo: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto (Marco, 10: 29-30). Mastrantonio, nel ricevere la lettera del figlio, piange, commosso e disorientato. Da Palestrina il giovane Mario si trasferisce a Roma, dove frequenta la Pontificia Università Gregoriana, centro internazionale di cultura filosofica e teologica e di dialogo interreligioso. Qui stringe amicizia con un tedesco, che diventerà Professore universitario, e con un polacco, futuro Vescovo e Nunzio Apostolico. Consegue il Baccellierato, e il Padre Generale lo indirizza in Francia per gli studi teologici: quattro anni fra i più belli della sua vita. Nel frattempo conosce il Movimento dei Focolari, che mai più lascerà, e del quale diviene membro interno, pur essendo religioso trinitario.
Bisognerebbe riempire volumi per raccontare tutte le esperienze da lui vissute nel successivo mezzo secolo, in cui ha visto il Movimento alimentarsi in Francia, nascere e crescere in Austria, ed ha vissuto da vicino gli avvenimenti del mondo tedesco e le traversie dei Paesi Comunisti, fino al crollo del Muro di Berlino e del Comunismo reale. La circostanza che determina il più radicale cambiamento nella sua vita è, in ogni caso, il suo ingresso nel Movimento dei Focolari, un’opera caduta “di cielo in terra a miracol mostrare”, attraverso il cuore di una donna, Chiara Lubich. “Una corrente di spiritualità che suscita un rinnovamento spirituale e sociale di dimensione mondiale”, una rivoluzione d’amore in cui “è racchiuso il progetto originario di Dio: comporre in unità la famiglia umana”. Recentemente insignito della Croce d’oro, la più alta onorificenza al merito della Repubblica Austriaca, dal Presidente Heinz Fischer, Padre Mario è solito dire che il
riconoscimento è semplicemente il frutto dell’attuazione concreta della Spiritualità dell’Unità, ispirata da Chiara Lubich. “Tu ami tutti gli uomini e sei rimasto donatore e servitore di tutti; sei sempre capace di trovare un posto nel cuore per emarginati, poveri e senza tetto”, scrive un benefi-ciato, congratulandosi con Padre Mario per l’alto premio conferitogli il 6 Luglio 2010. Chi ha avuto modo di frequentare Padre Mario, anche occasionalmente, ha potuto sperimentare di persona che il suo cuore e le sue mani sono come un’ine-sauribile cornucopia, sempre incorniciata da un sorriso di affetto e di compren-sione; ha potuto cogliere i suoi slanci di genuina umanità sempre alla ricerca dell’uomo, la sua generosità sempre pronta a cogliere, dell’uomo, la parte migliore; ha potuto apprezzare la sua visione ottimistica della vita, sempre incline a scorgere nelle prospettive la risoluzione migliore, secondo la concezione, mirabilmente espressa dal Manzoni, che Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande. Chi ha conosciuto bene Padre Mario ha potuto cogliere quella paradossale peculiarità che gli permette di esprimere, fin nella mimica, una personalità insieme infantile ed austera, riflesso dell’anima che tende alle altezze rimanendo candidamente fanciulla, consapevolmente e inconsapevolmente fedele al monito evangelico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli (Matteo, 18,3). Del resto il paradosso è forse il più schietto incontro dei contrasti, l’area nella quale i conflitti si ricompongono per l’armonia. E così Padre Mario è anticonformista quanto fedelmente ligio ai dettami del Vangelo, contemporaneamente progressista e conservatore, esuberante quanto riservato, estroverso e socievole quanto schivo ed appartato, intransigente quanto comprensivo. Perfino l’instancabile effervescenza della sua laboriosità trova l’opposto dei crolli improvvisi, che si addormentano sulla prima sedia ospitale per brevi, ma intensi, sonni rigeneranti.
Alla luce di quanto si è detto, meglio si comprende come Padre Mario sia Sacerdote Nuovo, che in quanto temporaneo delegato di Cristo, unico Eterno Sacerdote, assurge a dimensione cosmica, in forza di quel mistero per cui l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande non differiscono, almeno nei termini in cui entrambi sono privi di spazio, tempo, materia, quantità. Qualcuno gli ha detto: “Io non sono Cristiano, ma tu sei Sacerdote dell’Umanità”, cogliendo così il senso di una vocazione, di una missione, di una rotta che regge il timone contro ogni vento contrario, verso l’unico approdo possibile dell’Unità. C’è una preghiera che Padre Mario ricorda dall’infanzia, e che può concludere questo breve omaggio alla sua figura, nell’auspicio che il sentiero che egli percorre si dischiuda sempre alla luce di un giorno che dura.
Signore, tu sei la vita dell’universo, la luce del giorno senza notte, la fiamma dei cuori che come il rovo ardente non si spegne mai, la speranza nella notte della vita, la forza nella debolezza, il sollievo nel dolore, l’unico Sole e il sol Bene.
Amato Maria Bernabei
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Scritta per celebrare nel paese natio di Secinaro il GIUBILEO SACERDOTALE D’ORO (cinquant’anni dalla celebrazione della Prima Messa), su indicazioni manoscritte dello stesso Mario Maggi, questa breve biografia diviene commemorativa ad un anno dalla scomparsa del carissimo sacerdote. Consanguineo, estimatore, affezionato amico, uomo buono come pochi, il silenzio di Mario (non solo metaforico, come assenza fisica, ma reale, data la sua abituale, incessante necessità di parlare) è un vuoto impossibile da non udire, il suo candore una neve che manca nella malizia dominante, la gioia costante del suo sorriso un insostituibile contagio di serenità e di fiducia. Padre Mario era sempre il bambino estasiato dai cieli stellati, dal volo degli uccelli, dal frinire dei grilli: vero e proprio germoglio dei semi che, come fermamente egli credeva, Dio aveva “messo” nella sua anima. Candido dentro, candido nelle esternazioni, come i versi e le melodie dei brani che componeva e poi cantava, accompagnandosi al pianoforte; profondo nel concepire la vita e il suo senso, assolutamente coerente nella loro quotidiana interpretazione. Sempre disponibile, altruista, pur nella lucida consapevolezza della raccomandazione evangelica: «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci» (Matteo, 7.6).
Il suo spirito genuino resta nei ricordi dispensati ai parenti ed agli amici veri, e in qualche raro documento pubblico, quale questo sonoro affidato a You Tube:
PADRE MARIO MAGGI: 19 COMPOSIZIONI
1. Risurrezione 0,00 2. Preghiera 3:52 3. Addio 7:33 4. Glockengeläut aus dem unsichtbaren Turm der Elisabethkapelle 11:02 5. Campana me 14:28 6. Je vous chante ma Chanson 18:06 7. Ascesa 21:37 8. Vergine Madre 26:35 9. Du kommst vom Himmel herab 33:28 10. Pace, dove sei 37:33 11. 44:17 12. Santo, Santo, Santo 48:52 13. Herr, gib mir 50:48 14. Il treno della vita (Cristina) 54:08 15. L’aurora 59:06 16. Tu scendi giù dal cielo 1:05:19 17. Tutta bella, sei tu Maria 1:09:07 18. Beati voi 1:12:37 19. Freue dich 1:16:54
Soprani: Sandra, Anabel, Cristina
Tenori: J.S. Acosta
Baritoni: Davide, Steven
Direttori: Vito, Marco
Pianoforte: Massimo, Vito, Jan
Organo: Pier Damiano, Jan
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IN MORTE DI PADRE MARIO
2 agosto 2019
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Non c’è silenzio al fondo della china:
il silenzio è fruscio senza rumori…
quel respiro di Vita,
oltre il cammino breve dei frammenti,
che li accompagna.
Tu che non hai più passo, più non senti
questo tacere del vitale immenso
che sa di note ferme agli strumenti,
pronti comunque ad altre melodie.
Né riposi, nel tempo che sospende
per un ristoro, ma che poi riprende
la via che sa, malgrado poi non sappia
dove conduce.
E sono i giorni che aspettavo il segno:
tu che tornavi, come allora, a marzo,
il volo delle rondini.
Frammenti di frammenti quelli andati,
il fiotto che si mosse dalla fonte
e non inverte mai dove propende.
Fra le rive il Danubio ancora scorre,
come piega la strada che lo perde,
riverberando il cielo che guardavi,
che più non guardi,
dentro un silenzio senza più fruscio,
nel fisso andare, che non ha più sensi,
di tutto quello che mai fosti, e il vuoto
di ciò che fosti, che ristagna inerte,
irreparabilmente derubato.
15 Agosto 2019, ore 13,00
Padre Mario Maggi con Amato Maria Bernabei – Vigonza, Giugno 1993
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Te ne andasti nel mese che aspettavi
dei sapori dell’anima e dei sensi,
dei soffusi colori e degl’intensi,
dei cieli azzurri che, pregando, amavi. [1]
5 Luglio 2020
[1] Che nella tua speranza ultraterrena, amavi, come in una continua, più elevata preghiera. Padre Mario morì il 2 agosto, all’inizio del mese che soleva trascorrere nel paese natio di Secinaro.
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