VOCI D’ABRUZZO

S a g g i   b r e v i   di SANDRO BERNABEI

 

“La civiltà dello spettacolo”, come Vargas Llosa vede e sintetizza in un titolo l’abito culturale della nostra epoca [1], non va per il sottile: il godimento visivo ed evasivo è il vertice dell’aspirazione. La buona qualità non rientra nelle aspettative, anche perché il pensiero dominante esclude gli assoluti e decreta buono tutto ciò che piace: panem et circenses, lascito di un’antica quanto cinica logica politica, confortano a poco prezzo gli affanni dell’esistenza. La generale fisicità disconnessa dalle esigenze dell’intelletto e dello spirito (quella dei PIÙ), non chiede altro: perché guarda ciecamente, ode in sordità, tocca ottusamente, è muta al pregio delle sensazioni interiori. Cosicché, in ogni ambito, il valore affonda, a vantaggio della sua negazione, che esalta ciò che meno vale perché in più larga scala è gradito, è accessibile alla massa sprovveduta e lucroso per i mercanti. Accessibile alla folla che al suono preferisce il rumore, alla forma il deforme, alla mimesi dei pennelli la bizzarria dei ghirigori e delle macchie di colore “rorschachiane,” alla musica delle parole pensanti il vuoto di “significanti” ridotti a segni disfonici che declinano in-significati; lucroso per i venditori che da sempre s’impinguano con i fondi di magazzino. Così le vocalità che suonano significando sono inesorabilmente soffocate dai “rumori”… Dentro i quali qualcuno, di tanto in tanto, cerca di rintracciare voci.

Amato Maria Bernabei


[1] Mario Vargas Llosa,  La civiltà dello spettacolo, Torino, Einaudi, 2013.

Dedica di Mario Luzi apposta nella prima pagina del saggio di M. D’angelo La mente innamorata - L’evoluzione poetica di Mario Luzi (1935-1966) quale apprezzamento alla mia esegesi, in occasione della Presentazione del libro, presso il ridotto del Teatro Marrucino di Chieti nel novembre del 2000. 

PREFAZIONE

Cimentarmi nella scrittura della prefazione alla raccolta saggistica Voci d’Abruzzo di Sandro Bernabei mi parve, inizialmente, impresa assai ardua ma, già leggendo le prime pagine, colsi le potenzialità di una così rara occasione di riflessione e di analisi e soprattutto la ricchezza di quello che sarebbe diventato, di lì a breve, un raffinato incontro tra una giovane lettrice e l’eclettica sapienza di un uomo, prima che di un autore. Il volume ospita una selezione di dodici saggi brevi di critica letteraria scritti da Sandro Bernabei nel corso degli anni e dedicati a intellettuali, studiosi, poeti e scrittori di origine abruzzese. L’Abruzzo non è l’unico fil rouge che lega l’eterogeneità della materia letteraria trattata. L’autore ha saputo collezionare, infatti, in questa raccolta riflessioni e approfondimenti su scritture che privilegiano tematiche care e frequentate sia dagli autori che da se stesso: l’odi et amo verso i luoghi dell’infanzia, le origini, la riflessione sul tempo, il potere evocativo e creativo della memoria e “la materia magmatica della scommessa dell’esistere” e del “mistero della morte”. Il volume presenta un’ampia e versatile trattazione su materiale lirico e creativo che spazia dalla poesia alla favola, dalla narrativa alla critica letteraria e filosofica. Per lo studioso ogni saggio è occasione per celebrare la sacralità della parola, sia che si tratti di opere in lingua italiana sia di liriche dialettali. La forza dell’argomentazione critica del Bernabei attinge alla tradizione classica, alla luce dei modelli lirici e critici antichi e contemporanei, italiani e internazionali. Ogni pagina porta con sé l’eredità della sua ricca cultura in campo letterario, musicale, teatrale, artistico e architettonico, che ha origine nell’amore per la classicità greca e latina e per quei letterati che, attraversando i secoli, ha eletto a fonte d’ispirazione e modello di stile e di interpretazione; Petrarca, Dante, Shakespeare, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Neruda, Camus e Sartre sono tra i più frequentati. La trattazione si concentra prevalentemente sulla costante ricerca della potenzialità della parola che crea e che restituisce l’esperienza del creato, ora come musica, ora come immagine. I saggi che seguono offrono, infatti, ora attraverso riflessioni più specialistiche proprie del critico, ora attraverso immagini e suggestioni, la studiata attenzione al ritmo, alla semantica, al verso e al potere evocativo della parola. Quella del Bernabei è una raffinata narrazione critica che diventa essa stessa poetica e filosofica. Da critico di tradizione crociana e strutturalista, Bernabei ha avuto la sensibilità di cogliere e di restituire in queste pagine l’essenza dello stile, dei contenuti e della poetica degli scrittori scelti, senza trascurare l’esperienza umana e il vissuto di ciascuno di loro, trasmettendo al lettore il gusto della ricerca, lo stimolo all’approfondimento, la curiosità e il desiderio di incontrare personalmente le opere degli autori trattati alla luce di una consapevolezza nuova e più acuta. In pagine emerge anche, insieme allo studio approfondito e all’interesse per la poesia, l’attitudine dell’autore a scrivere in versi. Mi piace, pertanto, definire, questi brevi trattati come esempi di saggistica lirica, non solo per la preminenza dell’argomento poetico trattato, ma perché pensati e scritti come una narrazione poetica dai toni molto eleganti e raffinati. La lettura dei saggi è libera dall’ordine crescente delle pagine, ogni saggio è, infatti, autonomo e garante di stimolanti echi e riflessioni sull’ “orizzonte inesplorato del senso dell’esistere”. Sebbene la forma del saggio presupponga un destinatario di media e alta cultura, interessato ai temi trattati, studioso e amante del mestiere di scrivere, lo stile ricercato ed enciclopedico dell’autore sa restituire, sicuramente, ottimi approfondimenti critici sugli autori e sulla loro produzione, ma sa, altrettanto bene, rispettare il lettore desideroso di godersi una lettura che, seppur impegnata, sappia essere anche un leggiadro viaggio guidato tra luoghi e immagini che l’autore ha saputo cogliere dalle opere trattate, estrapolando da esse pensieri e sentimenti universali, sull’esistenza e sul quotidiano, appartenenti a ciascuno di noi e che fanno della letteratura non una mera cristallizzazione dei modelli, ma una straordinaria testimonianza del vivere e dell’incessante cammino dell’uomo verso la ricerca del senso.

Angela Telesca

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S A G G I O   E S E M P L I F I C A T I V O

Ottaviano Giannangeli

Antologia poetica

Ci sono ritorni esistenziali che nessun contatto reale può coniugare. Cammino per le strade acciottolate, m’inerpico per l’erte dei dintorni. Il rumore dei passi lenti che rompono il silenzio della piana modula i colori violenti della stagione estrema. La metafora coglie l’essenza di un percorso costantemente riflesso nell’intima presenza dei luoghi d’origine. Il verbum poetico di Giannangeli tradisce questa necessità assoluta. Non c’è trasfigurazione o sublimazione; il ‘paese’ è patrimonio tangibile, attuale, cosciente. Anche quando il ritorno è solo meditazione, aspirazione, o semplicemente memoria, ricompone momenti e figure e suoni di un vivere sereno che è radice e principio, identità e progetto. Nel ‘paese’ si concretizzano aspetti di una realtà che tarda a prendere coscienza nei meandri delle metropoli, e che invece proprio quel nucleo esprime come dimensione universale. Tutto quanto presente nel quotidiano sentire a Raiano, è proiezione di una condizione umana che, immutata, percorre le strade del mondo. Semmai il ‘paese’ ascolta voci più intime, riflette immagini più autentiche, chiede alle origini le ragioni dell’esistere. Tutto quanto avviene fuori da Raiano racconta il passato in termini irrevocabili; il ‘paese’ usa un più mitigato passaggio temporale che prosegue il cammino senza cesure. L’imperfetto è tempo che non conclude, suggerisce continuità, dilata gli eventi; sicché anche ciò che radicalmente muta contiene e mantiene in sé cellule del passato che detengono riferimenti essenziali e che affidano al poeta contenuti di un’epoca irripetibile. L’alba non sarà più così. Aveva il profumo della terra e delle mandre trasmigranti, un senso di verginità nell’aria e uno spicchio di luna. Chi mi ridarà lo stupore delle cose? Echi di sogni, di speranze, trascorsi di un tempo altro da una realtà che trasfigura la stagione ideale e la attualizza nel volgere incessante del ciclo. Ed in esso il progressivo smarrirsi di frammenti del vissuto che avanza, che non affonda nella nostalgia come ineluttabile parametro esistenziale, ma che avverte appieno la dinamica dei mutamenti che ogni età riscontra in qualunque ambito. E nel contrasto tutta l’amarezza di un’alternanza che annulla nel breve transito giovanile l’armonia e la bellezza di una possibilità vagheggiata. Un giorno respiravo le montagne e il cielo. Oggi ho paura. Il mondo mi dimostra le voragini. La vista mi si oscura. Il senso delle radici ricompone i disinganni in più corrette e pacate letture non già per una sorta di remissiva adesione o sottomissione ad un inevitabile destino, quanto per recuperare note di una coralità che in qualche modo redime quanto perso in questa corsa affannosa. Rivoli di malinconia permeano il presente come attimo di un divenire che deforma il passato nei cardini delle attese, dei desideri sperati, delle fantasie prorompenti. L’inquietudine è nucleo essenziale della condizione di un viandante costantemente insofferente che si volge indietro e sa che il vento ha già cancellato i suoi passi. Questa certezza compone ed alimenta il lacerante status del poeta. Tutto ciò che evidenzia l’enorme disparità tra il nuovo e l’antico è germoglio di sofferenza seppure nelle gradazioni dissimili del singolo accadimento: il quotidiano di un mondo contadino che smarrisce l’autenticità del senso naturale del vivere; i riferimenti ad un ordine ancestrale che perde nel presente i cardini della tradizione; la sacralità della famiglia, scrigno imprescindibile di ricchezza umana e spirituale; gli affetti che da questa enorme sorgente dilagano nei campi fecondi dell’anima. Pure, il gioco dialettico che il tempo impone s’inscrive in una condizione di malessere che mai deborda in accenti disperati ma che trasuda amarezza e rimpianto per tutte le illusioni di una realtà irrisolta. Gli esiti vanno a comporre gli insiemi delle tematiche di un microuniverso che è introspezione e ricerca, poetica e trattazione. I richiami della memoria oltre a determinare una scansione inevitabile, molto più inquietante che rasserenante, evocano i tratti della fatica del vivere, e non solo del giornaliero andare, che è risveglio dai sogni e identità di una concretezza diversa. Dalla natura ai mattini dell’infanzia, dai sentimenti al frastuono dei mutamenti profondi, tutto concorre alla perdita di una verginità esistenziale. E in un gesto di profonda sofferenza il poeta avverte l’esigenza di un annullamento completo della sua storia. Oh datemi la spugna che cancelli i ricordi. Condicio sine qua non per non rimanere soffocati dalle circostanze e riprendere il cammino con un fardello possibilmente meno pesante. Vita è dimenticarsi a poco a poco il cammino L’ammasso critico degli eventi si stempera negli ambiti creativi della parola che plasma la narrazione secondo paradigmi affatto personali che traducono l’esperienza sensibile del poeta. Ne scaturisce una rappresentazione di coralità teatrale che compone ogni singolo aspetto in un dramma compiuto, che evoca poi, nell’insieme, una sorta di epos di una mitologia contadina e paesana che si sviluppa e si arricchisce intorno al nucleo centrale che è poi legame indissolubile con i luoghi d’origine. Osservazione compiaciuta di un vivere semplice, di elementari visioni filosofiche ma traboccante di principi sociali, spirituali, tradizionali nei quali i sentimenti primari promettono un ormeggio sicuro anche contro uragani improvvisi. Se il divenire disorienta, la parola recupera l’“elegia campestre”. Nel policromo utilizzo di semantiche semplici, coerenti con i presupposti e i significati degli assunti enunciati, si apre il vasto orizzonte dei valori di una eredità che trasmette nel tempo le virtù di un popolo. Emergono, nei toni morbidi di una narrazione che è sì nostalgica ma anche affettuosa partecipazione sensibile, tratti ricorrenti che alla memoria aggiungono lo slancio emotivo volta a volta di differente vibrazione. Così le accezioni del canto acquistano misura ed espressione nei variegati contesti in cui quella presenza sottolinea gli avvenimenti e anzi spesso plasma un fraseggio di grande effetto sonoro e poetico. E il traslato di una realtà rurale accoglie negli elementi di una risonanza di genere ogni rivolo di corrispondenza poetica che è culturale, strumentale, sperimentale. La scansione degli assunti non invita a ripensamenti divergenti; anzi, negli ameni affreschi dei viottoli del paese, detta ascolti di quella varietà infinita di tratti emozionali che sono l’essenza del dialogo intimo con l’origine. E dal paese alla valle è un ripetersi di canti, stagioni che vanno e tornano coi loro incanti, le loro promesse, i loro profumi. … vi sono campane d’altre chiese, laggiù, e ritmi propiziano catarsi. Puoi estinguere a volte i tuoi riarsi labbri nelle canzoni, al mio paese. Nelle note della pigra quiete serale che precede il dì di festa, Canzoni di Sabato sera, accidia di serenate sulle strade acciottolate del rione stemmato… come nel solitario canto notturno che evoca l’eco del silenzio, Il prolungato a solo tra i pioppi canadesi avvertire, a notte, dell’assiuolo sugli addormentati paesi. nel tempo delle spighe e delle mietiture, quando le distese dorate raccontano il ciclo e gratificano le fatiche del contadino, Canzoni di mezzogiorno sul messidoro incurvate e sui mannelli, o incantate per la distesa all’intorno. come nelle Canzoni del lavatoio; come nelle Canzoni d’acre fraore / al contrappunto del bidente… Il canto non è per Giannangeli rivelazione divina né cadenza sensibile di quotidiane vicende che possa attenuare, nella varietà delle orchestrazioni, ogni rimando di sostenuta, inquieta malinconia; questa intensissima, costante presenza è patrimonio spirituale, voce che nell’ascolto delle altre voci acquisisce coralità compiute e le traduce in raffinata poesia. Canzoni del tempo imperfetto sono un crogiolo di realtà che trascendono i confini di una storia, di una cultura, di un millenario, faticoso cammino alla ricerca di un ‘perché’, di un ‘cosa’, di un ‘chi’; sono un messaggio tangibile per un tempo sconosciuto nel quale l’uomo, nella ricerca del nuovo, non cancelli le radici compiute. Un gettone di esistenza si concretizza come metafora di un dialogo a distanza che muta nella sua essenza allo scadere del gettone: … Poi: l’interferenza, o cessa la telefonata… altro genere, altra esistenza. Nell’omonima raccolta gli spazi aprono ad un senso religioso di grande respiro presente nella poetica di Giannangeli, ma qui riaffermato come momento di raccordo, di tramite tra il messaggio evangelico e la concretezza della vicenda terrena. Rapporto per certi versi simbiotico, ma che anche in certi sussurri intraducibili della storia, mantiene i toni di una raffinata, composta narrazione poetica. Ne gli isolani terrestri, altra raccolta di intensa forza espressiva, si intersecano circostanze ed eventi nella duplice dilatazione temporale e di un complesso di sottoinsiemi estremamente diversificato. Questa feconda mole di elementi trova sintesi esemplare nei versi che seguono, focus interpretativo di una delle variegate orme della poetica in questione. Un giorno, quando alle prime avvisaglie dell’autunno in fitta cortina le nubi s’adagiavano sui boschi e smussavano i fianchi alla montagna, quasi godevo a quel malato abbraccio di terra e di cielo. Il ritorno, inteso però come accensione di lontani richiami che il presente riascolta senza declinare il passato in modo da non esasperare il divario necessariamente intercorso e restituire il senso di una nostalgia redenta, è tema e sviluppo del Taccuino lirico, in una continuità che non avverte l’esperienza come momento temporale, semmai spaziale, senza dimensioni, dove la nostalgia abita un trascendente senso dell’inconsapevole. Onde gravitazionali che reggono l’equilibrio dell’attimo presente pur nelle dinamiche dell’accadere, indelebili incisioni di un manoscritto compiuto. Fino alla purezza emotiva nel ‘pellegrinaggio’ alla casa solinga, all’ascoso focolare / dove i nonni passarono. E i sensi tracimano gli incontaminati profumi dei boschi, ogni macchia di colore riconduce al disegno del tempo, immutato nel profilo dei monti, nella sacralità di una chiesa dove la speranza offriva rifugio, nei cori agli Osanna di un pio Sacerdote. E lo sguardo si sofferma appena fuori paese al piccolo cimitero sperduto privo di casette bianche e di cipressi e che protegge i resti degli avi tra un’intensa fragranza di timo. Tagli di luce di un poliedro unitario che contiene al suo interno aggregati di una profonda conoscenza dell’uomo, delle sue dinamiche, dei suoi respiri armonici, e nello stesso tempo nobile testimonianza di una condizione ricca di composite partiture che sono poi costruzioni dell’esistenza filtrate attraverso i meandri di un passato di complessa lettura. Accenni ad episodi della storia contemporanea (il poemetto Li Tedesche, sul periodo dell’occupazione tedesca, come Zappe, cafeune, zappe…, sull’eccidio di Via Fani) non individuano l’origine di un percorso nuovo d’impegno storico. Giannangeli legge la storia come traduzione quotidiana di un divenire circoscritto, nelle componenti elementari che sono inscritte nella cultura popolare e contadina lontana dal clamore di una realtà così diversa. “La poesia di Giannangeli non nasce dalla storia, ma da una sottile e costante inquietudine esistenziale a fondo religioso. Aspira ai ‘valori eterni’ e, non trovandoli nel mondo così come esso si presenta alla comune esperienza, ripiega in un soliloquio intimistico, in una solitudine povera di speranze.” (Vittorio Monaco) Il discrimine tra le capacità della mente, le aspirazioni dello spirito e l’inadeguata, insignificante realtà della natura umana, circoscrive il limite che l’uomo avverte nella sua interezza, ma proprio quella percezione custodisce lo spiraglio di ricerca e di speranza. E gli orizzonti aprono alla luce che non ha i parametri consueti, anche da una valle chiusa dai contrafforti delle vette alte degli Appennini. Le alture che circondano Raiano sono più consistenti e limitanti della siepe leopardiana, ma l’anelito d’infinito non ha tensione inferiore. È la risposta esistenziale, seppure nelle trattenute tonalità del poeta di Recanati, che muta radicalmente l’esito delle due ‘lezioni’. Il naufragio per un irraggiungibile approdo se anche mitiga nella ‘finzione’ l’assenza di ogni pur flebile voce nell’infinito silenzio, si traduce nel poeta abruzzese, tra l’altro nell’ambito di uno spazio molto più riduttivo, nell’affermazione di una centralità che, pur tra inevitabili contraddizioni, recupera la visione salvifica di un significato che dà valore all’esserci. Certo rimangono segnali divergenti di una compromessa condizione devastante, ma nel dissimile l’anima incontra possibilità altre nei …floridi / sentier della speranza (Manzoni), nella quasi impossibilità di credere che la vita sia solo un soffio di vento. La costruzione linguistica di questa epopea nelle strutture portanti come negli innumerevoli incastri di più contenuto spessore, poggia su stilistiche evidenze che invadono e determinano la poetica di Giannangeli nei canoni estetici, formali, espressivi e tecnici. Consapevole della propria vocazione come misura autentica di una scelta di vita, il poeta di Raiano plasma con sapienza e abilità non comune una massa informe di fraseggi poetici fino a generare eventi sonori di infinite gradazioni dal punto di vista lessicale, lirico, musicale. Lungo questo percorso le forme dell’azione scenica convivono con le metafore di volta in volta utilizzate in funzione di una lettura cosmica della poesia, traccia del cammino. Il verso, di qualunque misura, arricchisce dunque non solo in uno sviluppo sincrono ma anche in una verticalità che compone sequenze armoniche capaci di una vasta gamma di proposte dove i profili eleganti mai debordano in dissonanti lemmi. L’ascolto si fa pensiero, immagine, azione, e l’azione di fa poesia. Fino allo slancio lirico E mi pareva chiuderti in possesso sicuro, terra mia canicolare, se mi flettevo dagli aerei ponti sui valloni striati dal pietrisco bianco che scoscendevano agli ulivi.L’andamento irregolare del primo accento tonico lascia ai versi, assente anche la rima, un’ampiezza emotiva che recupera il passo ritmico attraverso una sequenza di tempi composti che nel flusso del movimento costruisce un originale effetto di tensione musicale. Nell’equilibrio tra le varie componenti della poetica di Giannangeli risiede la sua forza evocativa, la duttile capacità di interprete, la padronanza nell’uso del verso, il carisma intellettuale. La sua grandezza sta nell’aver intuito e poi trasmesso, che il mistero della vita ha, nella piccola dimensione, ogni particella dell’universo: Raiano diviene sintesi dell’esistenza, infinitesimo tutto di un infinito in divenire.

Sandro Bernabei

A C Q U I S T A   O R A   S U  A M A Z O N

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